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TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo MILEO - Presidente
Dott Bruno BATTIMIELLO - Consigliere
Dott. Raffaele FOGLIA - Consigliere
Dott. Grazia CATALDI - Rel. Consigliere
Dott. Camilla DI IASI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ASSOCIAZIONE CASSA NAZIONALE DEL NOTARIATO, in persona del legale rappresentante "pro tempore", elettivamente domiciliato in ROMA VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell'avvocato MAURIZIO PINNARÒ, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
A., elettivamente domiciliata in ROMA VIA MORGAGNI 22, presso lo studio dell'avvocato MICHELE SANDULLI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO FANFANI, LUCA TARTAGLIONE, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sent. n. 63/00 della Corte d'Appello di FIRENZE, depositata il 15 maggio 2000 - R.G.N. 120/2000;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica, udienza del 14 novembre 2002 dal Consigliere Dott. Grazia CATALDI;
udito l'Avvocato PINNARÒ;
udito il p.m. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio GIALANELLA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
La notaia A., con ricorso al Tribunale di Firenze, chiedeva la condanna della Cassa Nazionale del Notariato al pagamento dell'indennità di maternità per l'intero periodo compreso tra i due mesi antecedenti la data presunta del parto ed i tre mesi successivi alla data del parto stesso, anziché nella misura corrispondente agli effettivi giorni di astensione dall'attività professionale come operato dalla Cassa, in relazione ai due parti avvenuti, rispettivamente, l'8 giugno 1994 ed il 27 gennaio 1998.
Il Tribunale, rilevato che nel corso del giudizio la Cassa del Notariato, a seguito di pronunce sia della Corte Costituzionale che della Corte di Cassazione nel frattempo intervenute, aveva accettato il principio di diritto in base al quale il diritto alla percezione per intero della indennità di maternità per le libere professioniste non è correlato all'astensione dall'attività professionale, osservava che l'unica questione rimasta in discussione riguardava l'eccezione di prescrizione annuale avanzata dalla convenuta in relazione alla indennità di maternità di cui al primo parto avvenuto in data 8 giugno 1994; riteneva che nel caso di specie si applicasse la prescrizione ordinaria prevista dell'art. 2946 c.c., e accoglieva la domanda della notaia ricorrente.
Avverso la decisione di primo grado la Cassa del Notariato proponeva appello insistendo nell'eccezione di avvenuta prescrizione annuale della richiesta indennità di maternità in relazione al primo parto.
La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza del 13 maggio 2000, rigettava il gravame rilevando che la legge 11 dicembre 1990, n. 379, che aveva esteso l'indennità di maternità alle libere professioniste, presentava una disciplina particolare che non consentiva l'equiparazione a quella adottata per le lavoratrici autonome cui la giurisprudenza aveva ritenuto applicabile la prescrizione annuale dell'indennità in questione.
Per la cassazione della decisione della Corte d'Appello l'Associazione Cassa del Notariato propone ricorso formulandolo in un unico motivo, illustrato da successiva memoria. La notaia Altiero resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 379 del 1990, dell'art. 12 delle disposizioni di attuazione della legge in generale, dell'art. 6 ultimo comma della legge 11 gennaio 1943, n. 138, dell'art. 3 Cost., nonché contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere la Corte d'Appello applicato l'art. 6, ultimo comma, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, non tenendo così conto del consolidato indirizzo della Corte di Cassazione circa l'applicazione estensiva di tale norma alle lavoratrici autonome; sostiene la Cassa ricorrente che il giudice del riesame non aveva valutato correttamente le ragioni di tale applicazione estensiva, ragioni valide anche per l'indennità di maternità prevista dalla legge 11 dicembre 1990 in favore delle libere professioniste, normativa che, come quella prevista dalla legge n. 1204 del 1971 per le lavoratrici dipendenti e quella della legge n. 546 del 1987 per le lavoratrici autonome, è ispirata a tutelare i medesimi valori ed interessi della "maternità".
Il motivo è infondato.
Questa Corte, nella sua giurisprudenza, ha costantemente affermato che la speciale prescrizione breve (annuale) prevista dall'art. 6, ultimo comma della legge 11 gennaio 1943, n. 138 per l'azione diretta a conseguire l'indennità di malattia, si estende alla domanda avente ad oggetto il riconoscimento del diritto al trattamento economico riconosciuto, in favore delle lavoratrici dipendenti dalla legge 30 dicembre 1971, n. 1204, per i periodi di astensione obbligatoria e di assenza facoltativa dal lavoro connessi alla nascita di un figlio ovvero, in caso di lavoratrici affidatarie in preadozione, all'ingresso del bambino nella famiglia affidataria (cfr., tra le tante: Cass. sent. n. 4348 del 1995; n. 4967 del 1993; n. 11638 del 1992). Del resto la legge n. 1204 del 1971 contiene all'art. 15 un richiamo espresso ai criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
Una volta assoggettata alla regola della prescrizione annuale stabilita dall'art. 6 della legge n. 138 del 1943 l'indennità prevista per le lavoratrici dipendenti dalla legge n. 1204 del 1971, questa Corte ha ritenuto, poi, che la medesima regola dovesse applicarsi all'indennità di maternità - identica alla prima nel contenuto e nella funzione - attribuita alle lavoratrici autonome dalla legge 29 dicembre 1987, n. 546 (Cass. 19 gennaio 1998 n. 444). Nella richiamata sentenza viene rilevato che si tratta, anche in questo caso, di un trattamento previdenziale corrisposto dall'I.N.P.S., che matura di giorno in giorno, per i periodi di gravidanza e puerperio (o per i primi tre mesi successivi all'ingresso del bambino adottato nella famiglia affidataria), e che tutela il medesimo evento della maternità, consentendo anche alle lavoratrici autonome di sospendere o ridurre l'impegno lavorativo al suo verificarsi, senza perdere i vantaggi economici correlati alla continuazione dell'attività fino a quel momento svolta; anche per questa attività si pongono, inoltre, le medesime esigenze di certezza e rapidità nell'accertamento dei presupposti necessari per ottenere la tutela previdenziale, con le quali si giustifica l'assoggettamento dell'indennità di maternità, attribuita alle lavoratrici dipendenti, alle regole di prescrizione del diritto proprie dell'indennità di malattia (Cass. 19 gennaio 1998 n. 444; 8 luglio 1992 n. 8318).
È proprio sotto quest'ultimo profilo che la legge 11 dicembre 1990, n. 379, che disciplina il diritto alla indennità di maternità delle libere professioniste, non consente un'equiparazione con il regime applicabile alle lavoratrici dipendenti ed autonome. La legge 29 dicembre 1987, n. 546 (per le lavoratrici autonome) non contiene infatti alcuna specifica disciplina, circa i limiti temporali entro cui si estingue il diritto della lavoratrice che non abbia fatto valere il suo diritto all'indennità di maternità, sicché un'equiparazione con il regime prescrizionale applicabile alle lavoratrici dipendenti, le cui prestazioni economiche in caso di maternità sono pressoché identiche e rispondono alla stessa funzione di tutela dell'evento della maternità, è del tutto giustificata e corretta.
Nel caso delle libere professioniste, invece, l'estinzione del diritto all'indennità di maternità per decorso del tempo forma oggetto di una specifica disposizione (art. 2) che prevede che la domanda per il godimento dell'indennità di anzianità deve essere proposta entro 180 giorni dal parto.
Sicché, sebbene tale legge presenti un'omogeneità teleologica con le leggi a tutela della maternità delle lavoratrici dipendenti ed autonome, non vi è alcuna ragione di equipararne la disciplina (che in verità presenta anche altre differenze, peraltro non particolarmente rilevanti rispetto al problema del decorso del tempo di cui ci stiamo ora occupando) sotto il profilo dell'estinzione del diritto per decorso del tempo in relazione alle esigenze di certezza e rapidità dell'accertamento dei presupposti per ottenere la tutela previdenziale, esigenza maggiormente garantita dal breve termine di decadenza entro cui le libere professioniste debbono far valere il loro diritto all'indennità di maternità, non previsto né per le lavoratrici dipendenti né per quelle autonome.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione sono a carico della Associazione soccombente.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l'Associazione Cassa Nazionale del Notariato al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 24,00, oltre a € 3.000 per onorari.
Così deciso il 14 novembre 2002.
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