Che cosa sono e a che cosa servono
Al via l’era della previdenza complementare. Dal 1° gennaio 2007 è entrato in vigore il decreto legislativo 252/2005 (che attua la riforma delle pensioni “Maroni” dal nome dell’omonimo ministro del Welfare) che prevede una nuova disciplina dei fondi pensione o forme pensionistiche complementari. Queste sono forme di previdenza, - autorizzate e sottoposte alla vigilanza di un’Autorità pubblica, ossia la Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) - che hanno come specifico obiettivo di costruire una prestazione pensionistica integrativa.
Dunque, nei primi sei mesi del 2007, dal 1° gennaio al 30 giugno, il lavoratore può in qualsiasi momento far confluire alla previdenza integrativa il proprio Tfr e i versamenti del datore di lavoro, oltre ai propri. Dopo di che il datore di lavoro verserà il Tfr maturato da quella data in poi, alla forma prescelta, dal 1° luglio 2007 (si tratta della regola generale in quanto il Tfr maturato prima dell’adesione del lavoratore non viene toccato e continua ad essere gestito dal datore di lavoro nel rispetto della vecchia normativa).
In particolare rientrano tra le forme pensionistiche complementari: i fondi pensione chiusi o negoziali; aperti; i contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziali e ancora i fondi pensione preesistenti, cioè quelli istituiti prima del novembre del 1992.
A chi conviene e a chi non conviene
I vantaggi e gli svantaggi nella destinazione del Tfr a fondi pensione variano prima di tutto in base all’età e alla stabilità dell’impiego.
Va ricordato, tra l’altro, che per il trattamento di fine rapporto la legge 287 del 1992 ha stabilito il coefficiente da applicare per ciascun anno, come rendimento di incremento delle somme accantonate, in misura pari al 75% delle variazioni annuali dei prezzi al consumo, maggiorato in misura fissa pari all'1,5 per cento. Ma vediamo da vicino le diverse posizioni individuali in cui il lavoratore può trovarsi.
Quando si è vicini alla pensione
Se il periodo che ancora manca alla quiescenza è breve, le somme accumulate per la pensione integrativa saranno di importo ridotto. In particolare il lavoratore si vedrà la prestazione liquidata in forma retributiva e non risulta conveniente contribuire a un fondo in quanto la nuova pensione supplementare avrebbe importi esigui per il limitato periodo nel quale possono essere accantonate le somme di base per la liquidazione.
La riforma punta sui giovani
La convenienza si presenta evidente per i lavoratori che hanno un’anzianità contributiva minima. In questi casi è sicuramente opportuno aderire a un fondo pensione in modo da integrare la minore copertura previdenziale della futura pensione obbligatoria.
Per i lavoratori autonomi e subordinati
Per chi è un lavoratore autonomo la scelta migliore per costruirsi una pensione “di scorta” consiste nello stipulare un PIP o un fondo pensione aperto. Chi invece è un lavoratore dipendente, sia a tempo determinato sia indeterminato, può aderire al proprio fondo di categoria in modo da beneficiare anche del contributo del datore di lavoro.
Per chi è precario
Va ricordato che la scelta di destinare il Tfr alla previdenza complementare è irrevocabile. Pertanto questo aspetto diventa rilevante nell’ipotesi di un cambiamento del posto di lavoro o attività, situazione frequente quando non si ha un impegno stabile. Al momento dell'assunzione, anche a termine o stagionale, il datore di lavoro è comunque tenuto a consegnare al dipendente l'informativa. Sarà perciò il lavoratore a dover indicare formalmente e tempestivamente al nuovo datore di lavoro il fondo pensione a cui vanno versate le quote mensili di Tfr.
Quindi ogni fondo dovrà indicare nello statuto o nel regolamento la possibilità, per l'aderente, di trasferire la posizione individuale accumulata e le condizioni per l'esercizio dell'opzione.
Per chi ha mezza età
Se si tiene presente che è già stata accantonata una certa somma nel Tfr può essere utile l’iscrizione ad una forma di previdenza complementare e la divisione della retribuzione differita in una quota da riscuotere parte in capitale e parte in un’altra forma di rendita
Piani collettivi e individuali
La decisione di conferire il proprio Tfr ai fondi pensione e quindi di aderire o meno ad una forma pensionistica complementare è sempre il frutto di una valutazione personale. La decisione non è assolutamente obbligatoria e come precisa l’articolo 1, comma 2, del Dlgs 252/05, deve essere “libera e volontaria”. L’unica conseguenza “automatica” si ha nel caso in cui il lavoratore faccia decorrere il termine di sei mesi (30 giugno 2007) senza esprimere alcuna preferenza, – se a favore della devoluzione del Tfr ai fondi pensione o mantenendolo in azienda – quando opera il meccanismo cosiddetto del silenzio assenso. Tuttavia il principio della libertà di adesione viene in qualche modo fatto salvo anche nel caso del conferimento tacito del Tfr: il silenzio del lavoratore dipendente viene infatti considerato come l’implicita manifestazione di volontà di aderire alla forma pensionistica complementare collettiva di riferimento (si veda per i dettagli la scheda).
In ogni caso, vista l’importanza della decisione in questione, è bene sapere che i piani pensionistici complementari si possono distinguere in base ad una prima classificazione, in collettivi ed individuali.
Le forme collettive
Fra le forme pensionistiche complementari collettive rientrano differenti tipologie di fondi: primi fra tutti, i fondi pensione “chiusi” o “negoziali” istituiti per effetto di un contratto o accordo collettivo di lavoro anche aziendale; accanto a quelli istituiti dalle casse professionali privatizzate; e ancora i fondi istituiti o promossi dalle regioni; i fondi “aperti” che ricevono adesioni collettive e i cosiddetti fondi “preesistenti”.
Le forme individuali
Sono invece forme o piani previdenziali individuali (i cosiddetti PIP) quelli che si stipulano quando ci si iscrive a fondi “aperti” sulla base di adesioni rigorosamente individuali oppure mediante contratti di assicurazione sulla vita.
I Destinatari
Alle forme pensionistiche complementari di carattere collettivo possono aderire:
i lavoratori dipendenti sia del settore privato che del settore pubblico;
i lavoratori assunti in base alle tipologie contrattuali previste dal decreto legislativo 276/03 (legge Biagi): soggetti con contratto di lavoro in somministrazione, con contratto di lavoro intermittente, con contratto di lavoro ripartito, con contratto di lavoro a tempo parziale, con contratto di apprendistato, con contratto di inserimento, con contratto di lavoro a progetto, con contratto di lavoro occasionale;
i lavoratori autonomi;
i liberi professionisti;
i soci lavoratori di cooperative;
i soggetti che svolgono lavori di cura non retribuiti derivanti da responsabilità familiari nonché i soggetti che svolgono, senza vincolo di subordinazione, lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari e che non prestano attività lavorativa autonoma o alle dipendenze di terzi e non sono titolari di pensione diretta.
Alle forme pensionistiche complementari di carattere individuale (fondi aperti e PIP) possono aderire anche soggetti diversi da quelli sopra elencati come ad esempio i soggetti privi di reddito da lavoro non sussistendo alcuna preclusione in merito alla platea dei potenziali destinatari.
Possono iscriversi alle forme pensionistiche sia individuali che collettive anche i c.d. "soggetti fiscalmente a carico" cioè quei soggetti rispetto ai quali il percettore del reddito fruisce delle deduzioni o delle detrazioni prevista dalla normativa fiscale vigente. Perché i soggetti fiscalmente a carico possano effettivamente iscriversi ad un fondo pensione di natura negoziale è necessario che tale facoltà sia espressamente prevista dallo statuto del fondo pensione in oggetto.
Il profilo di FondInps
L’Inps, nell’articolata architettura della riforma della previdenza complementare, è chiamato a gestire sia il Fondo statale in cui confluisce il Tfr maturando delle imprese con almeno 50 dipendenti, sia quello indicato come “FondInps”, il fondo di previdenza complementare vero e proprio “residuale”.
Nella bozza del secondo decreto messo a punto dal Lavoro e dall’Economia, attuativo del comma 765 dell’articolo 1 della Finanziaria (l’articolo è aggiornato al 22 gennaio) viene tracciato il profilo di “FondInps”, la forma pensionistica complementare “residuale” presso l’Inps (già prevista dall’articolo 9, comma 1 del Dlgs 252/2005 ossia la riforma delle pensioni “Maroni”, varata da quello che allora era il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali) dove finirà il Tfr dei lavoratori che non hanno espresso una scelta e che non possiedono una forma pensionistica collettiva prevista da accordi o contratti collettivi o diversi accordi aziendali. Dunque FondInps entra in gioco nell’ipotesi di silenzio assenso.
I contributi
Per quanto riguarda l’adesione a FondInps, come si è già avuto modo di sottolineare, avviene esclusivamente a livello individuale ma in modo tacito (articolo 8, comma 7, lettera b), n. 3 del Dlgs 252/05). Tuttavia al lavoratore è lasciata aperta l’opportunità di destinare al fondo residuale Inps una quota di contributi a suo carico, anche sospendendo e riattivando i versamenti volontari, con le modalità che dovranno essere precisate nella regolamentazione ad hoc.
Il piano degli investimenti
Il decreto inoltre dispone in merito a un altro importante aspetto, ossia quello delle linee di investimento. Il Tfr devoluto tacitamente è destinato, al momento dell’adesione, al comparto che presenta un contenuto prudenziale, in modo da permettere la restituzione del capitale e rendimenti comparabili, nei limiti previsti dalla normativa statale e comunitaria, al tasso di rivalutazione del Tfr. Ma è probabile che FondInps verrà suddiviso in più comparti in modo da consentire una diversificazione maggiore, con politiche di investimento deliberate dal Comitato amministratore.
La bozza di provvedimento fa ancora presente come le risorse di FondInps facciano parte di un patrimonio autonomo rispetto a quello dell’Istituto (a riprova non sono ammesse azioni esecutive da parte dei creditori dell’Inps).
Il fondo dello Stato gestito dall'Inps
Dalla forma pensionistica complementare “residuale” costituita presso l’Inps, va distinto quello indicato come Fondo statale gestito dall’Inps.
Si tratta del Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto (di cui all’articolo 2120 del Codice civile) previsto dai commi 755 e seguenti della Finanziaria e gestito dall’Inps per conto dello Stato per la cui disciplina è stata predisposta la bozza di decreto attuativo, indicato a proposito anche decreto sul Fondo “Tesoreria”.
In particolare il Fondo per l’erogazione del Tfr riceverà le quote mensili di trattamento di fine rapporto maturando del personale delle imprese con alle proprie dipendenze un numero di addetti pari o superiore a 50 che espressamente abbiano scelto di non destinare il Tfr alla previdenza complementare manifestando l’opzione di lasciarlo in azienda.
Il datore di lavoro dovrà, con effetto dal 1° gennaio scorso, versarle all’Inps, ma ciò accadrà solo quando saranno trascorsi i sei mesi che il lavoratore ha a disposizione per decidere sulla sorte del suo Tfr.